ORA, MA ANCHE SEMPRE

Alla periferia di Bloemfontein si erge, imponente e cupo, un memoriale per le donne e i bambini morti nei campi di concentramento.

Non si parla di nazisti, ma di inglesi. E gli ospiti dei campi di concentramento non sono ebrei, ma i familiari dei soldati boeri in guerra contro l’impero britannico.

In tale memoriale sono seppelliti, accanto a quelli del presidente del Libero Stato di Orange durante la guerra, i resti della figlia di un sacerdote della Cornovaglia, di nome Emily Hobhouse, una delle prime attiviste, nel ventesimo secolo, contro la guerra.

Nel 1900 la Hobhause venne a conoscenza della situazione delle donne e dei bambini boeri e decise di recarsi in Sudafrica per aiutarle.

Creò un Fondo di assistenza per le donne e i bambini sudafricani, «per nutrire, vestire, ospitare e salvare donne e bambini – Boeri, inglesi e di altre nazionalità – ridotti in miseria in seguito a distruzione di proprietà, sfratto o altri incidenti dovuti (… ) alle operazioni militari». Poco dopo il suo arrivo a Città del Capo, nel dicembre 1900, ottenne (…)  il permesso di visitare i campi di concentramento. (…)  L’assoluta inadeguatezza della sistemazione e delle condizioni igieniche, con il sapone che veniva considerato dalle autorità militari «un articolo di lusso», la scandalizzò profondamente. (…) Visitò altri campi, a Norvalspont, Aliwal Nord, Springfontein, Kimberley, Orange River e Mafeking. In tutti trovò le stesse condizioni. E quando ritornò a Bloemfontein, queste erano peggiorate. Nel tentativo di porre fine alla politica dell’internamento, la Hobhause tornò in Inghilterra, ma il ministero della Guerra si rivelò più o meno indifferente. (…) Il governo accettò di nominare una commissione di donne, guidate da Millicent Fawcett, per verificare le affermazioni della Hobhause, che da tale commissione venne comunque (…) esclusa. Offesa, cercò di raggiungere il Sudafrica, ma non poté neppure arrivare al mare. Le restava ormai una sola arma: l’appello all’opinione pubblica. (…) La commissione Fawcett non era innocua come aveva temuto la Hobhause: stilò un rapporto durissimo e ottenne rapide migliorie nelle forniture mediche dei campi. (…) Anche Chamberlain era rimasto scandalizzato dalle rivelazioni della Hobhause e si affrettò a trasferire la responsabilità dei campi alle autorità civili. Le condizioni migliorarono con notevole rapidità: il tasso di mortalità passò dal 34% dell’ottobre 1901 al 7% nel febbraio 1902 e al 2% nel maggio dello stesso anno. (…) Le rivelazioni della Hobhause sui campi scatenarono nell’opinione pubblica una furibonda reazione di sdegno contro il governo. In Parlamento, i liberali colsero l’opportunità. Avevano trovato l’occasione ideale per rompere la coalizione fra Tory e seguaci di Chamberlain che aveva dominato la politica inglese per quasi due decenni.

Lo sdegno per il modo in cui era stata condotta la guerra anglo-boera e le rivelazioni della Hobhause sulle condizioni dei campi di concentramento spostarono decisamente a sinistra la politica inglese degli anni successivi al 1900, con conseguenze incalcolabili sulla storia inglese e sul futuro dell’Impero britannico.
Il voto alle donne in Inghilterra venne concesso soltanto nel 1923. Fu un successo certamente dovuto al movimento delle suffragette guidate da Millicent Fawcett, ma soprattutto al cataclisma della prima guerra mondiale. Quando la Hobhause si mobilitò, andò dall’altra parte del mondo e riuscì a infiammare l’opinione pubblica inglese, il contesto era quello di una società in cui la voce delle donne era sotto tutti gli aspetti trascurata e emarginata. Se ebbe successo ciò avvenne, credo, innanzitutto perché era una gran brava persona, con un senso altissimo della dignità propria e altrui. E questo viene prima di tutte le condizioni politiche e sociali: queste senza quello non producono alcun frutto, mentre il contrario può accadere.
Allora mi vien da pensare che forse il nostro problema non sta tanto nella difesa di categorie o generi, quanto nella capacità di creare singoli esseri umani capaci di uno sguardo su di sé e sugli altri simile a quello della Hobhause. Uno sguardo capace anche di giudicare, e di dire che certe scelte di vita sono conformi alla dignità propria e altrui, e altre no, che certe scelte fanno crescere e sviluppare la società e le relazioni umane, altre no.

Insomma, forse il nostro problema non è giuridico o genericamente sociale.

Tanto per cambiare è un problema educativo.

(le citazioni sono tratte da N. Ferguson, Impero, Mondadori, MI 2009, pp. 232-234, EAN 9788804589471)

QUER PASTICCIACCIO BELLO

Perché se vi hanno detto che Roma è solo il Colosseo e i sampietrini, beh, vi hanno mentito.

Non so perché alla sora Frattaglia sia venuto in mente di coinvolgermi in questa bella follia, giuro. Sono ancora qua che me lo chiedo. Ma posso solo ringraziarla di averlo fatto,
Dieci foto della periferia romana, scattate da chi a Roma ci è nato e ci vive.
Dieci post che dalle foto prendono spunto, scritti da chi a Roma ci va spesso, ci va poco, c’è stato due o tre volte, non c’è stato mai.
Il risultato è Quer Pasticciaccio Bello.
Bello perché è bella l’idea di partenza, perché ci siamo divertiti a parlarne e a scrivere fuffa nelle stanzette di FriendFeed, perché gente che in alcuni casi non si è mai (ancora!) vista in faccia ha lavorato insieme con entusiasmo per creare qualcosa di gratuito, perché Nemo ha avuto genio e un bel po’ di pazienza per preparare questa confezione.
Insomma, un sacco bello.
Guardate e leggete, ne vale la pena.

WAITING FOR THE BURNOUT

F. spesso solleva il banco provocando rumore.
Guardo F., un ragazzino minuto dal viso timido, e gli chiedo cosa mai stesse facendo. Ma niente, prof, risponde, stavo cancellando e il banco sbatteva contro gli altri due banchi. I suoi due compagni confermano. In effetti, una trentina di ragazzi ammassati in quest’aula piuttosto angusta costringono a creare file da tre, e ogni movimento diventa una possibile fonte di disturbo e di rumori molesti. Ma da qui a dare una nota sul registro perché uno cancella, insomma…
Sfoglio il registro. La stessa mano, la stessa firma:
R., nonostante i ripetuti richiami, non ha un comportamento consono al luogo in cui si trova.
Consono. Luogo in cui si trova. Espressioni ellittiche, vaghe. Chissà cos’ha fatto R., chissà qual è stato il comportamento non consono. Vien quasi da chiedersi in quale luogo aulico e austero sia mai accaduto questo delitto indicibile e comunque palesemente non consono.
Passo in un’altra classe. È una quinta. Una mano diversa, una firma diversa.
S. continua a battere i piedi durante la lezione.
E gli dai una nota?! Non basta dirgli di piantarla? Che se glielo hai detto e lui ti ha mandato a cagare, la nota gliela dai perché ti ha mandato a cagare. Se la nota recita Tizio batteva i piedi vuol dire che tu hai ritenuto questo gesto già di per sé meritevole di una nota sul registro.
Quest’aula è esposta su tre lati. Il riscaldamento è insufficiente e abbiamo infiltrazioni d’acqua dal soffitto. Fa freddo, cazzo. Io ci passo dentro un’ora e me ne vado, i ragazzi ci restano cinque ore. Mentre sto seduto alla cattedra, faccio ballare una gamba quasi di continuo. Un po’ perché son nervoso, un po’ perché ho freddo. Ma io sono il prof, a me la nota non la danno mica.
Il fatto è che con quattro di queste note scatta la sospensione.
L’ho già detto tempo fa, lo ripeto: certe note sul registro, più che il comportamento degli studenti, rivelano l’animo e il cervello di chi le commina. Che poi, il minimo che ti possa capitare è che qualche classe di allievi più svegli ti inquadri per bene e cominci a fartela pagare. In modo quasi innocente ma costante, tirandoti scemo.
E così, nella classe successiva trovo una nota, stessa mano e stessa firma di quella del comportamento non consono. Recita:
Qualcuno non identificato interrompe continuamente la lezione con fischi e musica.
Me lo vedo.
Immagino il collega, intento a scrivere alla lavagna o a leggere dal testo, venire più volte interrotto da un fischio o da un iPod tirato per un secondo al massimo volume.
Riesco a vederlo mentre si gira o alza lo sguardo, una prima volta senza dire niente, la seconda dicendo E allora?!, la terza sclerando di brutto, ma senza risultato, il fischio si sente di nuovo, di nuovo la musica ma da una direzione diversa.
Me lo vedo paonazzo minacciare la nota e gridare con la classe.
Non è riuscito a identificare il disturbatore e allora ha provato a sparare nel mucchio, peraltro senza colpire nessuno.
Qualcuno non identificato. Ha dato la nota a qualcuno non identificato.
Un po’ come se uno dicesse Sento delle voci.
Ti vedo bene, collega.

DARSI RAGIONE

Arriva a scuola in ritardo e senza zaino.  Se l’è dimenticato, dice. Libri, quaderni, biro… nulla.
Strabuzzo gli occhi. Lui mi guarda, risentito del mio sbalordimento: Oh, prof, se me lo son dimenticato, me lo son dimenticato.
Non fa una grinza.
Alla fine dell’ora passo nella classe vicina.
Non sono ancora entrato che mi sento chiamare alle spalle: Prof!
Mi volto, è lui.
Mi porge i miei due registri: Tenga, prof. Vede com’è facile dimenticarsi la roba?
Sorride ironico, gira sui tacchi e se ne va.
L’importante è darsi ragione.

STRANE FORME DI CECITÀ

Poi ci sono le classi per le quali sei trasparente.
Faticano a rispondere al tuo saluto, fan mostra di non aver sentito le tue domande, se ti rivolgi a qualcuno di loro ti fissano con gli occhi opachi, quando suona la campanella e l’ora è terminata si alzano per l’intervallo e sfilano davanti alla cattedra senza degnarti di una parola, di un sorriso, di un buongiorno.
Son dei maleducati, dice il collega.
Mica vero, o almeno non è tutto lì. Non lo fanno solo con te, col professore. Lo fanno anche tra loro. Lo fanno con la bidella che entra a far firmare una circolare, lo fanno col nuovo compagno appena arrivato, lo fanno con la segretaria e con l’omino che al bar vende i panini.
Gli mancano i fondamentali dell’umano.
Alcuni miei studenti son poveri cristi, ciechi al viso degli altri: trattano il volto umano – l’oggetto più significativo, affascinante e bello di tutta la realtà – come fosse un albero, un muro o un palo della luce.
A suo modo è un handicap, e non dei più lievi: gli occhi di chi li incontra per loro sono muti, privi di senso e vuoti di valore.
Per niente al mondo vorrei essere nei panni dei loro morosi e delle loro morose.

STRANE DERIVE

Obiettivi del secondo quadrimestre, cos’è una religione, costruzione umana e storica, quali criteri per “scegliere” quale sia la religione “migliore” per sé, “conoscerle tutte e scegliere”, “no solo le più importanti, chissenefrega delle altre”, “costruirsi la propria religione prendendone un pezzo qua un pezzo là”, “ci sono atei che battezzano i figli, due miei amici l’hanno fatto”, “ci sono atei che si sposano in chiesa, perché è più bello, vuoi mettere la tradizione”, “so anch’io che i matrimoni falliscono, ci si sposa senza criterio!”, “eh, ma l’indissolubilità del matrimonio”, “ma cosa dici lo sai che poi l’amore finisce”, “ma non che non finisce, è l’innamoramento che finisce e che passa!”, “innamorarsi è una botta d’ormoni”, “amare è una decisione, è una questione di testa, devi avere i motivi per amare uno, devi avere le ragioni, mica come fate sempre voi donne che poi morite dietro agli stronzi!”

IL RECENSIVENDOLO. OBLÒMOV

A me Oblòmov racconta una storia ben più tragica del solito, trito bla bla sulla pigrizia: la storia di come si possa perdersi e gettarsi via rifiutando l’impegno con la vita, o riducendolo alla propria misura. Che non è esser pigri, attenzione: è un’altra cosa, più sottile e pericolosa.
Certo, Oblòmov non fa una beata fava da mane a sera. Ma il vero problema di Oblòmov non è la sua “pigrizia”, è il suo consapevole scegliere di rifugiarsi in una realtà onirica e mentale invece di impegnarsi con quel che la vita impone: i resoconti dell’amministratore delle sue terre, la lettera di sfratto inviata dal padrone di casa, l’amore di Ol’ga. Il’ja Il’ic non
si è mai dato la possibilità di osservarsi in azione, e così non ha potuto far emergere, e quindi conoscere, tutti gli aspetti e le risorse della sua personalità. Sì, certo, è tanto buono e tanto, tanto tenero, ma non basta esser buoni, non dico per trovar moglie (Ol’ga ci mette un bel po’ a dargli il benservito; appena prende coscienza dell’irrecuperabilità di Il’jà Il’ic, però, non ci pensa due volte), ma anche solo per sviluppare se stessi. Oblòmov è buono come è buono il principe Myškin dell’Idiota, ma anche Myškin con tutto il suo darsi d’attorno finisce con lo scoprirsi (per ragioni del tutto diverse) tragicamente inadeguato alla vita.
Ma non è che Stolz – il suo fraterno amico, il suo alter ego, attivo, giramondo, avido di letture e di esperienze – stia tanto meglio. Incomparabilmente superiore a Oblòmov quanto a conoscenza del mondo, delle cose e di se stesso, ha tuttavia ridotto l’esperienza ad attivismo, e quel che vive, quel che impara, non lo giudica: si limita a ritrasmetterlo, a ripeterlo. È come se gli mancassero criteri adeguati per interpretare l’esperienza. Vorace lettore di tutto quel che gli passa per le mani, non possiede un centro al quale riportare il tutto. E quando
esprime un giudizio i suoi criteri non sono mai tutt’uno con la sua persona, sono sempre esterni, un copy & paste ricavato dalle sue sterminate e disordinate letture. Stolz in fondo – e la cosa è tanto più tragica quanto meno è consapevole – è un alienato. Come tanti, come chiunque viva a partire da misure non sue. Ma sono le misure alla moda, le misure di tutti, le misure di chi è trendy e à la page, e quindi Stolz è un figo, e l’alienazione è inavvertita.
Chi ha fatto davvero esperienza, chi si è realmente impegnata con la vita è Ol’ga; e infatti è l’unica che nel corso del romanzo manifesti un effettivo sviluppo, una crescita.
L’abisso tra Stolz e e sua moglie si rivela, verso la fine del romanzo, nell’angoscia di Ol’ga, tormentata da una tristezza indefinibile proprio quando tutto, nella sua esistenza, sembra essere andato a posto nel migliore dei modi.
Di fronte a un’Ol’ga che (per dirla con Tommaso d’Aquino) descrive tale tristezza come desiderio di un bene assente, come esperienza della strutturale e costitutiva incommensurabilità tra il desiderio umano di senso e qualunque suo tentativo di  realizzazione – sperimentato sempre come parziale e insufficiente -, Stolz si rivela del tutto inadeguato: prima interpreta la tristezza di Olga come frutto dei nervi (si sa, le donne). Poi finisce per ammettere che questa esperienza costituisce l’espressione suprema della maturità umana – e si stupisce di quanto sia cresciuta Olga, riconoscendola addirittura superiore a sè in questo ambito; ma l’unica cosa che sa proporre alla moglie come risposta a questa sete di infinito è, da un lato, l’invito ad immergersi nel compiacimento estetico per la propria grandezza d’animo e sensibilità, dall’altro, il volontarismo, l’attivismo, il senso del dovere, il buttarsi nella vita per quel che la vita richiede, non badando all’insoddisfazione e non indagandola nel profondo. In fondo, banalizzandola.
In un contesto in cui l’esperienza religiosa tradizionale viene assimilata senza residui alla vita arcaica dei servi della gleba, all’immobilità e al fatalismo dei contadini e dei domestici di Oblòmov, forse non poteva esservi altra risposta da parte di Gončarov: l’illusione di Stolz e di Ol’ga sarà quella di trovare risposta all’insoddisfazione esistenziale e alla domanda di senso che l’impegno con la vita risveglia – nell’impegno stesso. Cieco e immotivato.
I nipoti di Ol’ga e di Stolz tenteranno di dare una risposta in fondo non  dissimile aderendo alle parole d’ordine della Rivoluzione d’Ottobre. E ancora una volta l’esito si rivelerà tragicamente insoddisfacente.

BUON ANNO, VOYAGER 1!

Pare che il Voyager 1 stia finalmente arrivando al confine del Sistema Solare.
Come si può leggere qui, le particelle provenienti dal Sole, che hanno accompagnato la sonda fino all’attuale distanza di 17,4 miliardi di chilometri “colpendola alle spalle”, ora la investono sui fianchi, ad indicare che molto probabilmente il Voyager è davvero vicino all’eliopausa e in poco tempo (forse entro l’anno) si troverà nello spazio interstellare.
Certo, non se ne può essere del tutto sicuri, visto che prima d’ora nessun congegno costruito dall’uomo si è mai trovato da quelle parti.
E infatti già dieci anni e dieci miliardi di chilometri or sono si dicevano pressappoco le stesse cose!
Ma questa incertezza, lungi dal togliere fascino all’avventura del Voyager 1, caso mai la esalta vieppiù.

ScienceRay; Space.com

DOMANDE D’ESAME PER CONCORSO PUBBLICO

Logica e filosofia (!):

Quali metodi sperimentali possono venir usati per determinare l’autentico antecedente in fenomeni per i quali sia possibile una pluralità di cause.

Classificate gli errori.

Filosofia morale (!!):

Descrivete le diverse circostanze di situazioni che danno origine al piacevole senso del potere. [Classica domanda trappola!]

Specificate, per quanto vi riesce possibile, i diversi doveri che possono venir compresi nell’unica parola: Giustizia.

Elencate gli argomenti pro e contro l’utilità, considerata come la base (1) effettiva e (2) giusta della morale. (*)

Ma a quale caspita di amministrazione vogliono accedere i candidati di un simile concorso?!
Risposta: l’Indian Civil Service, l’amministrazione civile che governò l’India britannica fino all’indipendenza.
Un’amministrazione che nel 1939 aveva 1384 funzionari al servizio di circa 400 milioni di persone, ma che sino alla fine dell’800 non reputò quasi mai necessario elevarne il numero sopra ai 900.
Ragazzi di 18 anni che nel 1859 facevano a cazzotti per andare dall’altra parte del mondo ad amministrare la parte più importante dell’impero e che – soltanto due anni dopo la rivolta dei sepoys, un’orgia di sangue, violenze e massacri quale l’impero aveva mai conosciuto – venivano selezionati innanzitutto in base alle loro abilità logico-dialettiche, o alle concezioni etiche da essi abbracciate, o alle conoscenze di storia, brutalmente mnemoniche e nozionistiche:

Enumerate le principali colonie inglesi, e dite come e quando l’Inghilterra abbia acquistato ognuna di esse.

Elencate i successivi governatori generali dell’India fino al 1830, con le date dei loro rispettivi governi, e stilate un breve sommario delle principali transazioni che sono state condotte con l’India sotto ognuno di loro.

Evito di chiedermi se gli attuali metodi di selezione del personale amministrativo delle nostre regioni e provincie siano davvero più indicati a individuare gli elementi migliori e più adatti al servizio, e se l’esito delle nostre selezioni dia luogo ad amministrazioni migliori.
Senza parlare della dimensione numerica dell’intero apparato.

(*) da N. Ferguson, Impero, Mondadori 2009, ISBN 9788804589471, p. 160. Qui il libro, qui una recensione.