COSE CHE HO IMPARATO OGGI – 10

Il Carneade di oggi è Granovetter.
Uff, no, non l’avevo mai sentito. Sì, sono ignorante. Proseguiamo.
Allora. Una frase come Che poi stanno sempre su Internet, ci hanno un sacco di amici su Feisbuc, oddio, “amici”, loro dicono “amici”, ma amici VERI, legami VERI, rapporti VERI non ne hanno mica, ecco, questa è  senz’altro una delle frasi più diffuse e ripetute nelle aule insegnanti del regno, pronunciata pensosamente durante i consigli di classe, proferita scuotendo il testone in sincrono col collega di fronte alla macchinetta del caffè o anche sbattuta in faccia agli stessi interessati, i ragazzi, col gusto di spiegar loro come (non) funziona la (loro) vita a paragone di quando invece noi.
Confesso, l’ho detto anch’io. E non una volta sola. Perché del vero c’è, eh. Caspita, se c’è. Del resto è un luogo comune, e i luoghi comuni diventano comuni perché qualcosa di vero dicono, altrimenti non diremmo che sono luoghi comuni, ma, semplicemente, puttanate.
Tuttavia, è un luogo comune, quindi parziale.
I ragazzi non hanno legami veri. Legami forti, diciamo.
A parte che, mi si consenta, cosa caspita vuoi mai sapere tu di quali legami abbia o non abbia il ragazzino del terzo banco a sinistra, e se ‘sti legami siano forti, deboli o discretamente robusti.
Ma poi, cosa sono i legami forti?
Legami forti sono quelli che ho con chi mi è amico. Coi miei familiari. Coi miei più stretti collaboratori. Persone con le quali ho profondi legami affettivi, o con le quali condivido uno stesso modo di vedere il mondo, di lavorare o anche solo di cazzeggiare.
Ora, con queste persone accade che io ti parlo, tu mi parli, ma in fondo non ci diciamo nulla di nuovo. Non ci attendiamo nulla di nuovo. Ci conosciamo, andiamo d’accordo, stiamo insieme per questo, lavoriamo insieme per questo.
Ecco, qui entra in gioco il Granovetter, che salta su e dice: occhio, ché se avete gli stessi interessi e condividete le stesse informazioni, gira e rigira va a finire che non vi accorgete delle eventuali nuove opportunità. Vi dite sempre le stesse cose e  non portate a casa conoscenze nuove.
Chi invece ha legami deboli, cioè contatti con persone che conosce in modo relativamente superficiale, interagendo di rado e poco intensamente, amplifica le proprie possibilità di conoscenza. Aumenta addirittura le sue possibilità di trovare lavoro. I legami deboli aprono finestre su realtà sconosciute, che possono risultare inquietanti ma anche proficue.
Ai fini dell’imparare, perciò, una rete di legami deboli offre più stimoli e possibilità di una rete di legami forti. Nasce il connettivismo, una teoria che sottolinea appunto il valore e la funzione delle connessioni nei meccanismi di apprendimento. E i nostri studentelli hanno nel web un’opportunità di apprendimento pazzesca, ancor più che una fonte di pericoli e di distrazione.
Ecco, che questa cosa uno l’abbia potuta teorizzare (venendo subito preso a pescioni in faccia) non quando è stata lanciata Facebook, e nemmeno quando sono saltati fuori i newsgroup, ma all’inizio degli anni ’70, è una roba che mi manda nei matti.

Il giovane Granovetter intuisce la teoria della forza dei legami deboli

COSE CHE HO IMPARATO OGGI – 04

Credevo che il Monte Bianco fosse stato scalato, ad essere generosi, nel milleottocentoequalcosa. E invece, grazie al doodle di Google di oggi, scopro che la prima scalata è del 1786. Non mi capacito. Mi immagino uomini dell’ancien regime, in calze di lana, sciarponi e parrucca, affrontare un’impresa che io oggi eviterei non fosse che per risparmiarmi la spesa dell’attrezzatura. Invece questi, hop hop, e vanno su vestiti da honnête homme di fine Settecento. Nel 1808 va su perfino la prima donna, in gonnellona plissettata e stivali fino alle ginocchia. Un altro pianeta.

Oggi è la storia a farla da padrona. Grazie al ClassiCult del Fraccalvieri, leggo la notizia della scoperta del monolite sommerso al largo della Sicilia, a metà strada da Pantelleria. Là dove oggi non c’è che acqua a perdita d’occhio, i Siciliani del Mesolitico drizzavano menhir da decine di tonnellate. Stiamo parlando di undicimila anni fa. Nemmeno erano nati i quadrisavoli degli spermatozoi del primo celta padano! I romani non esistevano nemmeno a livello di antenato di Enea, Troia era ben lungi dall’essere una città e già i siciliani modellavano pietroni megalitici. Sono undicimila anni che lavorano, ci credo che oggi sembrano prendersela un po’ comoda: è stanchezza. Unita alla saggezza e al disincanto di chi era al centro di una civiltà dalle caratteristiche omogenee sparsa per buona parte del Mediterraneo in un’epoca in cui il Mediterraneo, come lo conosciamo oggi, nemmeno esisteva.

Non tutti nella capitale nascono i fiori del male. Qualche testa di minchia senza pretese l’abbiamo anche noi in paese, e così stamattina scopro che a meno di due, trecento metri da casa mia un esemplare rappresentante della categoria ha passato la notte a dar fuoco alle automobili. Quattro, per la precisione. La Kia l’ho subito spostata in garage, penso che stanotte chiederò al figlio di dormire nella 106.

Il gioco 20 Questions, nelle sue versioni da tavolo e elettronica (per la verità, alle lunghe piuttosto noiosino e stucchevole), nasce paro paro da una strategia pedagogica (per la verità, alle lunghe piuttosto noiosina e stucchevole) inventata dal solito Bruner per stimolare negli alunni l’apprendimento per scoperta. Agli allievi veniva proposto un problema, e avevano a disposizione appunto venti domande per trovare la soluzione. La strategia giusta è partire dalle domande più generali per poi restringere progressivamente il campo, chevvelodicoaffà.

Il tutor è colui che affianca nell’apprendimento o nella scoperta il soggetto in apprendimento: lo sanno pure li cani, e quindi lo sapevo pur’io. Ma come si chiama il soggetto in apprendimento? Forza, potete farmi venti domande.

Eh eh.
Si chiama tutee.

Esiste un bug che si chiama white screen of death. In pratica, tu ci hai un blog, entri nell’amministrazione col tuo username e la tua bella password, e lì trovi il nulla. Cioè, io trovavo a lato la serie di opzioni e di funzioni, ma a cliccarci sopra non succedeva nulla: il resto dello schermo restava, appunto, bianco. Ma se hai una nipote geniale, esperta di informatica e al nono mese di gravidanza (così che non possa fuggire da nessuna parte, grazie Caterina :)), la sventurata può farti la diagnosi, il backup, l’aggiornamento all’ultima versione di Wp e restituirti il blog spolverato, lindo e funzionante come non mai, ed è subito, ancora e sempre, 2003!

COSE CHE HO IMPARATO OGGI – 02

I pompieri che stendono i panni in shorts sul balcone, qui, davanti alle finestre della mia cucina, appartengono ad un’altra specie, non umana.

Il cantante dei Joy Division s’è ammazzato prima dell’uscita del loro secondo e ultimo disco. Sì, è una cosa del 1980, e io la scopro ora, e allora? Eh, oh.

È inutile che Caprotti abbia fatto mettere un gabinetto in ogni negozio Esselunga. Qualcuno riesce comunque a vomitare a dieci metri scarsi di distanza dalle porte del cesso, proprio davanti ai due portelli automatici per l’ingresso dei clienti.

C’è questo articolo, no?, il 50 della Legge 35 del 4 aprile 2012 (che converte in legge il DL 5 del 2012), che prevede la costituzione di reti territoriali tra istituzioni scolastiche, occhei? Bene. L’idea è bellissima: più scuole si mettono assieme e si uniscono per gestire in maniera ottimale le proprie risorse, umane, strumentali e finanziarie. Ne deriva la possibilità di definire un organico di rete: i docenti, invece di essere assegnati ad un unico istituto, sono assegnati a tutti gli istituti che compongono la rete, in funzione dei progetti ai quali partecipano e che vengono condivisi fra le scuole, soprattutto per le questioni legate all’integrazione scolastica ed all’inclusione. Figata!, bene. Ma quel cretino d’un articolo alla fine dice: tutto ciò, nei limiti previsti dall’art. 64 del DL 112/25 giugno 2008, convertito, con modificazioni, dalla L 133/6 agosto 2008, e successive modificazioni. Tradotto: nei limiti fissati dalla Riforma Gelmini, che ha come ritornello la “riduzione complessiva degli organici del tot %”. Ma vaffa, va’.

Un americano può chiederti l’amicizia su Feisbuc perché gli è piaciuto un casino un filmato in cui un tizio suona Comfortably Numb su un iPhone, e visto che ‘sto tizio si chiama Leonardo Muccari lui pensa bene di chiedere l’amicizia a tutti quelli che hanno un nome simile per cercare il tizio e fargli tanti tanti complimenti. Occheione.

VOCI DI CORRIDOIO

Voci di corridoio, senza essere né un capolavoro né un’imperdibile inchiesta, prova a proporsi come un’interessante apertura di porte e di finestre.
Non riuscirà certo a cambiare l’aria, neppure lo pretende: però forse renderà noi insegnanti più capaci di guardare chi sta fuori e di capire cosa si aspetta dal nostro lavoro, e renderà più acuto lo sguardo di chi sta fuori e guarda verso di noi; e non sarà stato comunque poco.
E se invece non riusciremo a fare nemmeno questo, e vabbè, pazienza: sarà stato in ogni caso bello stare per qualche giorno tutti insieme su una pagina virtuale a raccontarci le nostre storie mattutine; e a raccontarle a tutti quelli che avranno voglia di sopportarci e di leggerci.

Perché c’è della bella gente anche sui socialcosi, checché se ne dica.
Perché da che mondo è mondo gli incontri più veri e le amicizie più belle sono quelle che nascono dalla condivisione del lavoro quotidiano (come anche gli scazzi più atomici e le antipatie più ostinate, perché niente come la vita è capace di coinvolgere e far reagire).
Perché ci sono dei pazzi che trovano ancora il tempo per fare cose gratuite e belle.
(Un grazie a PePPe, allo scorfano e a tutti gli altri)

QUER PASTICCIACCIO BELLO

Perché se vi hanno detto che Roma è solo il Colosseo e i sampietrini, beh, vi hanno mentito.

Non so perché alla sora Frattaglia sia venuto in mente di coinvolgermi in questa bella follia, giuro. Sono ancora qua che me lo chiedo. Ma posso solo ringraziarla di averlo fatto,
Dieci foto della periferia romana, scattate da chi a Roma ci è nato e ci vive.
Dieci post che dalle foto prendono spunto, scritti da chi a Roma ci va spesso, ci va poco, c’è stato due o tre volte, non c’è stato mai.
Il risultato è Quer Pasticciaccio Bello.
Bello perché è bella l’idea di partenza, perché ci siamo divertiti a parlarne e a scrivere fuffa nelle stanzette di FriendFeed, perché gente che in alcuni casi non si è mai (ancora!) vista in faccia ha lavorato insieme con entusiasmo per creare qualcosa di gratuito, perché Nemo ha avuto genio e un bel po’ di pazienza per preparare questa confezione.
Insomma, un sacco bello.
Guardate e leggete, ne vale la pena.