COSE CHE HO IMPARATO OGGI – 18

Io tutto ‘sto problema nel costruire muri che ci dividono dagli immigrati mica lo vedo. A me sembra un’ottima idea.
Per esempio, prendi casa mia. Di là dal muro c’è la famiglia di Bogdan. Oggi ho imparato che si chiama Bogdan, appunto, e che è rumeno (– Ma come rumeno!, Bogdan non è un nome slavo?– Eh, sì, ma tanto quando lo dico non lo capisce nessuno). Il muro, dicevo. Metti che non ci sia il muro, io e Bogdan avremmo in comune la mia sala e il suo corridoio, e quel che è peggio è che avremmo in comune un gabinetto open space. Che non sarebbe un bel vedere, dai.
Ho imparato che si chiama Bogdan perché è rimasto senza luce. Era lì che stirava (la moglie stava dietro al bambino, un trottolino biondo che corre tutto il giorno) quando la luce, zac, è andata via. E allora ha suonato al vicino, cioè a me, per chiedermi se sapevo dov’era il contatore, come si fa tra vicini. E allora l’ho accompagnato giù in cantina, e in ascensore gli ho chiesto da dove veniva, e lui mi ha detto dalla Romania e si è presentato, Mi chiamo Bogdan, e io Piacere, Leo, e siamo andati giù e abbiamo tirato su il contatore.
E quindi tra me e Bogdan c’è un muro, e mi sembra normale. E anche giusto. E opportuno.
Anche perché la moglie è antipaticissima. O almeno così mi dice la mia signora, che a furia di incontrarla sul balcone a stendere, così, tutta bionda, giovane giovane magra magra coi pantaloncini corti, non l’ha presa in simpatia. E quindi meno male che c’è il muro, ‘nzia mai che incrociassi troppo spesso la scorbutica.

COSE CHE HO IMPARATO OGGI – 04

Credevo che il Monte Bianco fosse stato scalato, ad essere generosi, nel milleottocentoequalcosa. E invece, grazie al doodle di Google di oggi, scopro che la prima scalata è del 1786. Non mi capacito. Mi immagino uomini dell’ancien regime, in calze di lana, sciarponi e parrucca, affrontare un’impresa che io oggi eviterei non fosse che per risparmiarmi la spesa dell’attrezzatura. Invece questi, hop hop, e vanno su vestiti da honnête homme di fine Settecento. Nel 1808 va su perfino la prima donna, in gonnellona plissettata e stivali fino alle ginocchia. Un altro pianeta.

Oggi è la storia a farla da padrona. Grazie al ClassiCult del Fraccalvieri, leggo la notizia della scoperta del monolite sommerso al largo della Sicilia, a metà strada da Pantelleria. Là dove oggi non c’è che acqua a perdita d’occhio, i Siciliani del Mesolitico drizzavano menhir da decine di tonnellate. Stiamo parlando di undicimila anni fa. Nemmeno erano nati i quadrisavoli degli spermatozoi del primo celta padano! I romani non esistevano nemmeno a livello di antenato di Enea, Troia era ben lungi dall’essere una città e già i siciliani modellavano pietroni megalitici. Sono undicimila anni che lavorano, ci credo che oggi sembrano prendersela un po’ comoda: è stanchezza. Unita alla saggezza e al disincanto di chi era al centro di una civiltà dalle caratteristiche omogenee sparsa per buona parte del Mediterraneo in un’epoca in cui il Mediterraneo, come lo conosciamo oggi, nemmeno esisteva.

Non tutti nella capitale nascono i fiori del male. Qualche testa di minchia senza pretese l’abbiamo anche noi in paese, e così stamattina scopro che a meno di due, trecento metri da casa mia un esemplare rappresentante della categoria ha passato la notte a dar fuoco alle automobili. Quattro, per la precisione. La Kia l’ho subito spostata in garage, penso che stanotte chiederò al figlio di dormire nella 106.

Il gioco 20 Questions, nelle sue versioni da tavolo e elettronica (per la verità, alle lunghe piuttosto noiosino e stucchevole), nasce paro paro da una strategia pedagogica (per la verità, alle lunghe piuttosto noiosina e stucchevole) inventata dal solito Bruner per stimolare negli alunni l’apprendimento per scoperta. Agli allievi veniva proposto un problema, e avevano a disposizione appunto venti domande per trovare la soluzione. La strategia giusta è partire dalle domande più generali per poi restringere progressivamente il campo, chevvelodicoaffà.

Il tutor è colui che affianca nell’apprendimento o nella scoperta il soggetto in apprendimento: lo sanno pure li cani, e quindi lo sapevo pur’io. Ma come si chiama il soggetto in apprendimento? Forza, potete farmi venti domande.

Eh eh.
Si chiama tutee.

Esiste un bug che si chiama white screen of death. In pratica, tu ci hai un blog, entri nell’amministrazione col tuo username e la tua bella password, e lì trovi il nulla. Cioè, io trovavo a lato la serie di opzioni e di funzioni, ma a cliccarci sopra non succedeva nulla: il resto dello schermo restava, appunto, bianco. Ma se hai una nipote geniale, esperta di informatica e al nono mese di gravidanza (così che non possa fuggire da nessuna parte, grazie Caterina :)), la sventurata può farti la diagnosi, il backup, l’aggiornamento all’ultima versione di Wp e restituirti il blog spolverato, lindo e funzionante come non mai, ed è subito, ancora e sempre, 2003!

LA TERZA DOLORE E SPAVENTO

Alla riga 5, la mia bisnonna Elisabetta, 33 anni.
Alla riga 6 sua figlia Maria, 16 anni.
Alla riga 7 suo figlio. Mio nonno, Vito. Tre anni.
Rosario, il mio bisnonno, stava già a Brucculino e li aspettava.
Non fatico a appiccicare sui visi di chi sbarca a Pozzallo o a Lampedusa quelli di Elisabetta e di Maria, del piccolo Vito.
Anche se in Italia, nel 1903, non c’era guerra. E c’era, bene o male, uno Stato. Ma c’era anche miseria e fame. E allora si partiva. Perché se si ha fame, Cristo, si ha il diritto di partire.
Stipati in 1100 sulla Sicilian Prince, tutti in terza, ché la prima tiene posto solo per venticinque ricchi. Quindici giorni di traversata. Chissà che paura, du fimmine e chidd’avutru, nicareddu nicareddu.

Paura o no, si andava. Si aveva da andare. Dal 1875 al 1913, quasi quattordici milioni. Su trentatrè.
Che strana gente. Che strana specie di gente, ad affrontare l’oceano per una speranza di bene, per il sogno di un di più. Che strana specie, poi, a fare presto ad abituarsi al comodo, e a dimenticare.
Che strana specie che è, la specie umana.

LOGICA BELPIETRISTA

Fossi nei carabinieri di Varese risparmierei tempo: senza tirare a mano le soffiate della mala di Gemonio, Azzio e Orino, tanto meno quelle dei puttanoni della zona, mi affiderei al succo della ferrea logica belpietrista e punterei direttamente a casa del Trota, requisendogli i petardi che ha preparato per l’ultimo dell’anno e chiedendogli se ha un alibi per ieri notte.